I Migliori Modi di Assumere Personale per Grandi Aziende (e 5 Errori Comuni)

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Introduzione: Assumere per Grandi Aziende

Le grandi aziende hanno tipicamente migliaia di dipendenti, molto spesso sparsi in diversi Paesi e continenti che sono coordinati da complessi dipartimenti di HR divisi spesso in funzioni centrali e altre locali e corredati da dipartimenti di recruiting interno suddivisi per aree di competenza. 

Le grandi aziende hanno bisogno di talenti a ‘ciclo continuo’ e soffrono la concorrenza nel mercato delle risorse umane da parte di startup e scale-up che cercano di identificare i migliori candidati per sottrarli a queste grandi aziende con il vantaggio di essere più agili e veloci nel processo di recruiting e di poter offrire sfide più eccitanti per i candidati più attratti dalle sfide. Il rischio per le grandi imprese è di creare processi di recruiting lunghi e complessi che scoraggiano alcuni candidati o di essere percepite come dei ‘club chiusi’ che ammettono solo determinate élite. Le corporation possono ‘perdere per strada’ alcuni dei candidati migliori perché convinte nell’assoluto valore dei propri processi di recruitment al punto tale da non metterli mai in discussione nel tempo.

Ho lavorato per delle grandi aziende nella mia carriera, inclusa la più grande e rispettata (quasi venerata) azienda al mondo e posso dire con cognizione di causa che ci sono ampi margini di miglioramento a vari livelli nei processi di selezione delle risorse umane. L’antico mantra di avere solo candidati ‘A list’ che aiutano ad assumere altri ‘A list’ è appunto un mantra che si trasforma ben presto nella creazione di circoli chiusi dove le competenze ed il valore di singoli candidati non sempre sono l’elemento più importante nella scelta e dove diversi bias interferiscono sulle decisioni di hiring finali. Esaminiamo insieme questi problemi che affliggono i processi di recruitment delle corporation e alcune caratteristiche che bisogna ricercare nei candidati ideali per questo contesto di lavoro.

5 Errori Comuni

Le grandi aziende hanno dei processi di recruitment molto strutturati, a volte troppo…

Solitamente ogni area di business/dipartimento e/o country può contare su un proprio team dedicato di HR che include anche degli internal recruiter (spesso divisi per aree di competenza) che lavorano con gli hiring manager (responsabili di team) per le diverse posizioni aperte. Il processo solitamente include il job posting sul sito della corporation (molto spesso preceduto da un posting interno per aprire la posizione agli attuali dipendenti ed ai referral prima di renderla pubblica), il CV screening da parte dell’internal recruiter a cui segue un primo colloquio conoscitivo ed in qualche caso un test di varia natura per verificare competenze tecniche e/o caratteristiche attitudinali dei candidati. I candidati che superano queste prime fasi passano solitamente ad una prima interview con l’hiring manager che generalmente sarà la persona a cui riporterà direttamente il candidato scelto, a cui seguono una serie di altri colloqui (con altri membri del team, con pari di altri team, di natura tecnica ed attitudinale o incentrati sul cultural fit).

Alcune aziende chiedono uno step finale con un assignment ed una presentazione finale ai candidati finalisti (in genere due o tre). Segue il check delle referenze ed eventuale offerta di lavoro. Insomma un iter che può variare di caso in caso, ma che generalmente è abbastanza lungo e complesso e che può durare anche 3-4 mesi.

Nella mia esperienza personale sono arrivato a fare 16 colloqui/round di selezione per una posizione in una grande azienda (inclusi 2 con un head hunter all’inizio del processo) e in media ogni volta che ho partecipato a selezioni per corporation ho dovuto affrontare 8/9 differenti step. In alcuni casi, ma abbastanza raramente, le grandi aziende utilizzano anche recruiters esterni per selezionare candidati/profili in linea con posizioni che stanno avendo difficoltà a coprire con il sourcing esterno (molto tecniche o in country in cui non hanno un grande network di referral interni). 

Ho visto da dentro (come hiring manager) e da fuori (come candidato) i diversi problemi che il processo di recruitment delle grandi aziende presenta ed i principali sono:

  • Processi di selezione troppo lunghi e basati sulle passate esperienze/background
  • Affidarsi unicamente ai referral interni e diventare dei circoli chiusi
  • Considerare il proprio processo infallibile e migliore a prescindere
  • Non tenere conto delle agende personali degli hiring manager/team members e della politica aziendale
  • Le raccomandazioni e le decisioni basate su pregiudizi

Analizziamo nel dettaglio ognuno di questi problemi

Processi Troppo Lunghi

Come anticipato, uno dei maggiori problemi per le grandi aziende è avere processi di selezione troppo lunghi che a volte costringono il candidato a rispondere alla stessa domanda o a domande molto simili per diverse volte (in una occasione ho risposto 5 volte alla stessa domanda). I candidati migliori vogliono avere un processo rapido e interessante che possa accrescere la loro esperienza anche se non vengono selezionati. Al contrario, molto spesso, si ritrovano in processi lunghi mesi, noiosi e non sfidanti dove sono chiamati a ripetere per molte volte il loro percorso di lavoro passato. 

Altro problema correlato a questi lunghi processi sono le domande che molto spesso sono legate solo al passato, a fornire esempi di esperienze e situazioni passate. Ricordiamoci che un candidato attivo si sta proiettando verso il futuro e ha maggiore interesse a comprendere come potrà essere il proprio futuro professionale all’interno della vostra azienda. Quello che voglio dire è che concentrarsi solo sulle esperienze passate nei colloqui non è la scelta migliore: primo perché il contesto in cui queste esperienze sono avvenute è sicuramente diverso dal vostro (e per cui non è un metro assoluto per predire come i candidati si comporteranno nel vostro) secondo perché instilla nella percezione dei candidati migliori che la vostra azienda guarda solo al passato e tiene in scarsa considerazione il futuro e la volontà di crescita dei candidati, il loro potenziale. 

Ad ExpHire abbiamo deciso di inserire nei colloqui che i nostri Esperti Tecnici (manager nello stesso ambito della figura che stai ricercando, ma con maggiore seniority) alcune domande che sono mirate ad esplorare il potenziale dei candidati facendo leva su casi pratici e reali che dovranno affrontare se saranno scelti per il ruolo oggetto di selezione.

Una nota azienda nel mondo dell’e-commerce per cui ho sostenuto negli anni diversi colloqui (molto spesso perché un loro recruiter mi ha contattato) basa ore ed ore dei propri colloqui (quasi la totalità) a fare domande basate su esempi di esperienze passate, onestamente come candidato mi sono spesso sentito annoiato durante questi colloqui e ho avuto la sensazione che un ruolo all’interno dell’azienda vale come un altro perché la lista delle domande non varia, la mia competenza e potenziale specifico in un determinato ambito non sono mai state valutate, in altre parole ho avuto la sensazione che il ruolo da andare a ricoprire in futuro fosse un dettaglio trascurabile e questo mi ha tolto il desiderio di andare a lavorare per questa grande azienda (nonostante le prospettive economiche siano fra le migliori…).

Il Problema dei Referral

Le grandi aziende hanno inserito fra i loro step dei processi di recruitment il referral interno, ovvero la possibilità per attuali lavoratori di fare application per conto di terzi loro conoscenti ed amici. Alcune aziende incentivano molto questa pratica assegnando bonus in caso di successo finale dei candidati, ovvero l’assunzione di candidati con referral. In teoria questa è una buona pratica, e all’inizio lo è stata, in pratica questo può diventare il cancro che nel tempo uccide le grandi aziende che vengono superate da nuovi challenger che sanno attirare i migliori talenti. Mi spiego: i referral negli anni sono diventati la principale forma di sourcing considerata dagli internal recruiter delle grandi aziende. Quando una posizione si apre in una di queste aziende centinaia a volte migliaia di curricula arrivano sulla scrivania (o meglio dire sul monitor) degli internal recruiter, in passato questi prendevano in considerazione le candidature esterne e quelle interne e poi fornivano agli hiring manager i candidati migliori da iniziare al processo di recruitment. Col passare del tempo hanno iniziato a vedere che le ore di lavoro speso a valutare centinaia di CV ricevuti dall’esterno erano ‘buttate via’ in quanto alla fine del processo l’offerta veniva quasi sempre estesa ai candidati con un referral interno. Questo ha portato gli internal recruiter, o molti di loro, a considerare quasi esclusivamente solo i candidati con referral.

Il ragionamento dietro questa cattiva pratica è: i miei dipendenti sono ‘A list’ e faranno referral solo ad altri candidati ‘A list’, per cui ho i migliori talenti oggi e continuerò ad averli domani. 

Purtroppo questa teoria fa acqua da tutte le parti: a volte i tuoi dipendenti non sono ‘A list’ (si sbaglia ad assumere e nelle grandi aziende gli errori possono passare inosservati per anni) o a volte non lo sono più (lo erano 7 anni fa quando li hai assunti, ma ora si sono seduti sugli allori e pensano maggiormente a come entrare al country club grazie al referral al figlio del presidente dello stesso…), non è assolutamente detto che le ragioni per un referral siano legate a stima professionale (a volte il referral è fatto solo per pure ragioni personali o per ricevere il bonus ad esso connesso). 

Arrivo a dire che se nella tua grande azienda le assunzioni da referral superano il 20% del totale vuol dire che c’è (o ci sarà) un grande problema, e probabilmente non stai assumendo solo candidati A list da tempo…

Ho vissuto sulla mia pelle questa esperienza, in una grande e prestigiosa azienda ho notato che venivano assunti nell’ufficio di Londra quasi solo esclusivamente persone che erano collegate ad un certo altolocato ed esclusivo club, in un’altra azienda venivano assunte quasi solo persone che avevano frequentato una specifica università. Intendiamoci, molte di queste persone erano qualificate e preparate, ma erano davvero le migliori? Si sono persi candidati qualificati solo perché non appartenenti ad una determinata cerchia o élite? 

Ad ExpHire usiamo l’aiuto di Esperti Tecnici  e Comportamentali per valutare i candidati, i nostri Esperti sono terzi ed disinteressati, mettono tutti i candidati sulla stessa linea di partenza e assicurano che il processo di selezione sia giusto ed imparziale.

Processo di Recruitment Indiscusso

Alcune grandi aziende hanno un credo assoluto nel proprio processo di recruitment. Bisogna sempre ricordare che il processo di selezione è un mezzo, non il fine. Il risultato ultimo è trovare i candidati migliori possibili per le posizioni che una grande azienda sta ricercando. I processi, a volte lunghi e troppo articolati, diventano anche delle forme di rituali vuoti e stanchi, in cui le cose si fanno solo perché previste dal processo.

Tutto si evolve e anche i processi di recruitment dovrebbero farlo, affidarsi ad un processo pensato 5 o 7 anni fa è sicuramente sbagliato se nel frattempo non sono intercorsi dei momenti di valutazione dell’efficacia del processo stesso e di sua eventuale revisione. 

Molto spesso appare evidente ai candidati e agli hiring manager che il processo sta diminuendo le opportunità di un corretto match fra aziende e candidati. Questo avviene quando un candidato percepisce disagio rispetto alla tipologia di domande che riceve, o peggio ancora noia, e quando l’hiring manager diventa estremamente meccanico nel suo approccio ai colloqui.

Mi è successo molte volte di fare colloqui con hiring manager che erano evidentemente, ma in modo implicito, scettici rispetto al processo di selezione e alla tipologia di domande tra cui dovevano scegliere, solitamente ho avvertito questa sfiducia in una esecuzione del colloquio, molto stanca e meccanica, quasi rassegnata a dover eseguire un copione in cui nessuno crede più e che sicuramente non è interessante per i candidati che si domandano se sia il caso di continuare o meno nel processo di selezione.

Le grandi aziende hanno il problema di essere lente nei processi decisionali e quindi bisogna prevedere una sistematica revisione annuale del processo di selezione in cui ogni sua parte viene messa in discussione ed in cui tutti gli attori coinvolti devono essere interpellati, anche i candidati. 

Ho ricevuto a volte dei questionari post colloqui con grandi aziende in cui mi si chiedeva di valutare il processo, questi sono molto discutibili se inviati prima della conclusione del processo (le persone avranno timore ad esprimere il proprio reale parere per paura di essere in qualche modo esclusi dal processo stesso), mentre chi ha ricevuto un’offerta di lavoro avrà un bias positivo nei confronti del processo e chi invece è stato scartato avrà una certa dose di risentimento che potrebbe influenzare negativamente il suo giudizio. Consiglio di fare delle ricerche qualitative sui candidati alla fine dei processi di selezione, magari a distanza di alcune settimane, per ottenere informazioni più utili e veritiere. Le survey interne devono invece garantire anonimato e la possibilità di aggiungere commenti qualitativi. 

Interessi Personali e Recruitment

Ogni persona che lavora in una grande azienda sa bene che il potere e la gestione del potere sono elementi importanti in questo contesto che portano ad una certa quantità di politica interna da dover sapere gestire. In ogni corporation esiste una quota di tempo ed energie che deve essere dedicata, specialmente dalle figure manageriali e senior, alla gestione della politica interna, è un dato che esiste e di cui bisogna prendere atto (poi ci sono i casi patologici in cui la politica assorbe fino al 70% del tempo dei manager, ma questo è un altro problema…). 

La politica interna porta al territorialismo dei manager, ovvero a quel fenomeno di autodifesa e auto conservazione tipico dei diversi team e manager di diverse aree all’interno della stessa azienda. 

Entrano in gioco in molti contesti delle ragioni terze e personali che guidano alcune scelte di business e strategia, incluse quelle relative alla ricerca di personale e alle decisioni prese in merito. I manager per spirito di difesa personale (nei casi migliori) per applicazione di agende e strategie personali (nei casi peggiori), prendono decisioni che non sono necessariamente orientate al bene ultimo dell’azienda.

Mi è capitato di vedere dall’interno di grandi aziende situazioni singolari in cui un manager di un altro team chiamato a fare un colloquio ad una candidata finalista per una posizione in cui ero hiring manager assegnasse una valutazione negativa all’esito del colloquio, di fatto terminando il processo di questa candidata secondo le regole prestabilite nel processo di quella azienda. Fatto strano, qualche mese più tardi vedo la mia candidata in azienda e parte del team del mio pari, mi racconta di essere stata contattata due mesi dopo per una posizione nel team del mio collega manager, proprio da lui. Insomma, non ne ho le prove, ma il mio collega ha deciso semplicemente di rubarmi un’ottima candidata squalificandola per ragioni di interesse personale dal mio processo di selezione.

Esempi ancora meno edificanti sono relativi a quei manager che hanno paura dei candidati troppo qualificati, e pertanto li eliminano dai processi di selezione per paura di inserire nel proprio team una possibile minaccia futura (l’allievo che supera il maestro, il subordinato che prende il posto del responsabile). Si tratta di atteggiamenti meschini, ma molto più frequenti di quanto si immagini, specie nelle grandi aziende.

Mi è capitato di fare una serie di colloqui in una grande azienda leader nello streaming audio per un ruolo dirigenziale, l’ultimo colloquio era con la country manager a cui avrei dovuto riportare. Il colloquio va molto bene e sono praticamente certo di avere molte chance di ottenere il lavoro, ma la country manager mi accompagna all’ascensore e ci tiene a dirmi che ho un profilo eccezionale, che il colloquio è andato bene, ma che forse sono troppo senior per ciò che sta cercando e per ciò di cui ha bisogno al momento. Pochi giorni dopo mi chiama il recruiter interno dicendomi molto imbarazzato che la country manager ha deciso di ricominciare il percorso di selezione con una figura più junior e poi, off the records, aggiunge che ha avuto la sensazione che una figura con la mia esperienza professionale fosse troppo ingombrante per la mia manager che, ha concluso, è ancora nel suo periodo di prova.

Insomma, fidarsi dei propri hiring manager è un bene, ma fidarsi ciecamente di loro e delle loro buone intenzioni è sbagliato e rischioso, ad ExpHire proviamo a risolvere proprio questo problema, aggiungendo un livello di selezione esterno, qualificato, imparziale e disinteressato, in grado di consegnare al processo di recruitment delle grandi aziende un ulteriore voce indipendente e credibile.

Raccomandazioni e Pregiudizi

L’ultimo problema delle grandi aziende nell’assumere personale è rappresentato da due estremi opposti, ma in qualche modo collegati fra loro: le raccomandazioni ed i pregiudizi.

Questi due elementi possono rendere altamente ingiusto e squilibrato il processo di selezione. Abbiamo parlato degli internal referral, ma esiste una forma di segnalazione molto più pesante ed intrinsecamente sbagliata che si è radicata soprattutto in certe culture e contesti aziendali, la raccomandazione. 

Esistono processi di selezione che sono fittizi, perché chi seleziona sa fin da subito a chi sarà assegnato il lavoro, in quanto soggetto raccomandato. Questo malcostume avviene in certi ambiti in maniera palese, ma in altri in modo occulto. 

Ho visto organizzare processi di selezione con l’ausilio di blasonati e costosissimi head hunter esterni che avevano fin dal principio una storia scritta, assumere una persona raccomandata. Le grandi aziende devono fare molta attenzione perché questi casi sono più frequenti di quanto si immagini e si verificano anche in casi in cui persone di grande potere aziendale sono in grado di esercitare una pressione implicita tale da decidere le sorti dei processi di selezione. Le figure di HR (specie gli internal recruiter) hanno spesso un peso politico interno debole rispetto a questi senior manager e quindi non si oppongono o fanno finta di non vedere certe distorsioni dei processi di selezione. 

Parlo di una mia esperienza, ho fatto dodici step/colloqui totali per essere assunto in una grande azienda, una volta assunto mi ritrovo a rispondere ad una persona molto inesperta e che commette errori di management chiari e ha degli atteggiamenti sbagliati, scorretti e poco professionali. Mi domando, con i colleghi del mio team, come sia stato possibile che in un processo così complesso di recruiting tali tratti e lacune del nostro manager non siano emerse. Passa oltre un anno ed una sera ad una cena e dopo qualche bicchiere di vino di troppo, il suddetto manager confessa la storia del proprio processo di selezione, molto diversa dalla nostra. Questa persona finisce l’università e il padre chiede di fare una lista con le 5 aziende in cui vorrebbe lavorare. Il manager consegna la lista e dopo pochi giorni viene contattato per sostenere un colloquio nell’azienda prima in lista, il colloquio avviene in un bar di fronte agli uffici, dura meno di un’ora e qualche giorno dopo il manager riceve un’offerta di lavoro. E’ chiaro che in questo caso non è stato seguito alcun processo di recruitment prestabilito a livello aziendale, ma altre ragioni e raccomandazioni sono intervenute. Gli esiti di tale raccomandazione sono stati disastrosi: molte persone nel team di questo manager si sono dimesse nel tempo o hanno chiesto di essere spostate in altri team e ci sono stati diversi procedimenti ufficiali di investigazione del comportamento di questo manager che ovviamente non hanno mai portato al licenziamento della persona in oggetto in quanto la raccomandazione continuava a sussistere ed era evidentemente più ‘pesante’ di tutti gli errori commessi da questa persona. Alla fine questo manager è stato promossa in un ruolo diverso, ma in cui non deve avere responsabilità di personale, insomma, è stata messa nella condizione di non fare troppi danni. 

Il pregiudizio è un altro elemento di cui tenere conto per mantenere oggettivi i processi di selezione, molto spesso anche inavvertitamente, recruiter e hiring manager applicano un filtro personale alle selezioni, ovvero un pregiudizio basato su elementi che eludono dalla valutazione professionale dei diversi candidati. 

I cosiddetti bias coinvolgono diverse aree: il sesso, quello di natura culturale, il colore della pelle, il background personale e familiare dei candidati, la possibile discriminazione per motivazioni di credo religioso e di preferenze sessuali, ma anche altri più sottili e impensanti (ho visto persone avere bias per l’accento di candidati, o per l’abbigliamento o il colore dei capelli degli stessi).

Sono stato vittima di un bias agli inizi della mia carriera quasi venti anni fa, una grande azienda mi ha convocato in Svezia per una 3 giorni di test e attività per selezionare 10 talenti nel mondo da avviare ad un percorso di crescita manageriale accelerata. Il terzo giorno, al termine delle diverse prove, veniamo convocati individualmente per discutere i risultati delle selezioni, la responsabile di questa particolare selezione mi dice che sono stato fra i 20 candidati quello con i risultati migliori, ma che hanno deciso di non selezionarmi nella rosa dei 10 prescelti in quanto il mio approccio alle prove ha evidenziato un mio background ‘poco internazionale’ (ovvero di una persona poco esposta ad un contesto internazionale, con poco savoir faire che denota le mie origini umili). Ho spiegato che effettivamente le mie origini umili non mi hanno consentito di viaggiare e fare esperienze nel mondo o di partecipare a costosi corsi all’estero e la commissione si è limitata a dirmi che era dispiaciuta per questo. Oggi, probabilmente, nessuno si esporrebbe ad esplicitare e verbalizzare un tale bias, il mondo è troppo attento e sensibile a certe tematiche e se avessi postato sui social una tale motivazione l’azienda sarebbe stata oggetto di una cosiddetta ‘shit storm’, ma questo non significa che questo tipo di bias ed altri più gravi non avvengono quotidianamente sia in modo intenzionale sia inavvertitamente.

Two recruiters interview a candidate

Tratti di Candidati Perfetti per Grandi Aziende

Abbiamo preso in rassegna gli errori e le problematiche più frequenti che avvengono nei processi di selezione del personale per le grandi aziende. Ora voglio occuparmi di un altro aspetto, maggiormente propositivo, l’individuazione dei caratteri distintivi e principali di candidati che bene si adattano al contesto delle grandi aziende. 

Inizio col dire che ci sono persone adatte alle grandi aziende e persone che non lo sono o che lo sono per un periodo limitato di tempo (3 o 4 anni) e che saper identificare gli idonei è di primaria importanza per le aziende di grandi dimensioni.

Uno degli elementi principali da valutare nei candidati è la specializzazione e l’approccio specialistico dei candidati, mi spiego: le grandi aziende hanno molti dipartimenti e molte aree di specializzazione verticale, i ruoli da ricoprire devono essere estremamente focalizzati per evitare ‘doppioni’ inutili e competizione interna fra i diversi team (anche se ci sono grandi aziende che ne fanno una bandiera ed elemento distintivo); chi viene chiamato a ricoprire un ruolo in una grande azienda deve essere molto focalizzato sulle proprie mansioni ed essere tra i migliori in assoluto a risolvere uno specifico problema o a trovare delle specifiche soluzioni. 

Saper individuare candidati che amano affrontare specifici problemi e che hanno la passione per farlo è molto importante. 

Esistono candidati con profili verticali e altri con profili orizzontali, i primi per attitudine trovano soddisfazione e appagamento professionale nell’avere un approccio specialistico e focalizzato su specifici progetti, i secondi amano e vogliono avere una visione di insieme e tendono ad annoiarsi e perdere interesse se chiamati a lavorare su un solo tema molto a lungo. Valutiamo partendo da questo concetto i tratti salienti da ricercare nei candidati ideali per le grandi aziende:

  • persone che non si annoiano facilmente
  • persone che assegnano valore alla stabilità
  • privilegiare chi ama il brand, ma non in modo aprioristico
  • evitare gli yes men
  • valutare le persone in base alle qualità reali, non alla quantità di danaro speso per Mba e simili



Ripetere Fino ad Annoiarsi

Le grandi aziende lavorano su progetti molto importanti per cui molto spesso i singoli dipendenti perdono la visione di insieme e possono ritrovarsi a sentirsi un ingranaggio all’interno di una grande macchina, ci sono contesti in cui questo fattore è mitigato dalla condivisione aziendale delle informazioni e dalla collaborazione tra diversi team, ma anche contesti in cui per ragioni di segretezza è addirittura vietato a dipendenti di un’area di un’azienda che sta lavorando ad un prodotto di parlarne con i colleghi non coinvolti. Alcune aziende consentono il passaggio delle informazioni su una cosiddetta ‘need to know basis’, sei informato solo se hai realmente bisogno di conoscere ed essere esposto ad un informazione. Questa mancanza di visione di insieme dei progetti può essere frustrante per alcune persone che si sentono nel tempo distaccati dalla strategia dell’azienda e perdono la passione per ciò che fanno.

Tipicamente il lavoro in grande azienda è molto ripetitivo, si viene chiamati a ricoprire un ruolo e a farlo al meglio per alcuni anni, fino a quando si viene eventualmente promossi ad un altro ruolo con uno scopo specifico diverso e nuovo, ma pur sempre con lo stesso approccio ripetitivo. E’ giusto che sia così, le grandi aziende sono diventate tali perché perseguono l’eccellenza e la ottengono grazie all’uso di risorse umane molto specializzate e focalizzate.

Bisogna riconoscere che l’unione di eccellenze in campi adiacenti è alla base del successo delle grandi aziende, ed è anche opportuno ricordare che se il lavoro non fosse gestito in questo modo sarebbe il caos totale in cui persone con ruoli specifici iniziano ad occuparsi di altre aree, in altre parole in una macchina complessa non ci sono 2 ingranaggi che fanno la stessa cosa, non è efficiente, e se si presentasse una tale situazione la macchina potrebbe rompersi.

Assodati questi elementi diventa prioritario identificare persone che hanno specifiche passioni e che intendono restare in uno stesso ruolo molto definito per almeno alcuni anni, persone che si appassionano ad un progetto o a parte di esso e che non hanno la necessità continua di avere una visione di insieme e soprattutto persone che non si annoiano facilmente. Ci sono anche quei candidati che hanno una passione specifica e che sono validi per ricoprire un ruolo per 3-4 anni all’interno di una grande azienda per poi proseguire il loro percorso di carriera altrove (non si devono escludere tali candidati perché possono rappresentare anche un grande vantaggio per le grandi aziende nel ricoprire ruoli molto specifici e tecnici). 

Bisogna saper individuare queste caratteristiche nei candidati e solitamente ci si affida all’analisi dei CV e alla durata e tenuta nel tempo in singole aziende e posizioni nei percorsi di carriera, ma bisogna andare oltre cercando di capire durante i colloqui le motivazioni specifiche che hanno portato al cambiamento. Le grandi aziende devono essere anche molto franche e trasparenti, non devono promettere, dinamismo e visione di insieme, progetti trasversali e varietà del lavoro per mansioni e ruoli che non hanno per loro natura queste caratteristiche, nessuno ama essere ingannato…



La Stabilità è un Valore

In Italia c’è un modo di dire: tutti vogliono il posto fisso, possibilmente presso un ente pubblico o alle poste; è uno stereotipo, ormai passato, e che porta con sé alcune accezioni negative legate al concetto di sedersi su una sedia e restarci per 40 anni, senza mai rimettersi in gioco professionalmente parlando, ma traendo vantaggio dalla sicurezza di un posto di lavoro da cui difficilmente sarai rimosso.

Al di fuori di questo caso estremo e per certi versi pittoresco c’è un elemento psicologico rilevante per le grandi aziende che gioca un ruolo fondamentale nell’attrarre i giusti candidati. 

Alcune persone hanno una propensione al rischio maggiore di altre, ci sono individui per cui la sicurezza economica, di immagine e di continuità che conferisce il lavorare per un brand conosciuto ed amato è un elemento importante nelle proprie scelte di carriera e nella propria gestione psicologica del bilanciamento fra lavoro e vita personale. 

Queste persone conferiscono un grande valore alla stabilità e a volte al prestigio che le grandi aziende donano loro e si sentono rassicurati e confortati da questi elementi. Bada bene, non parlo di fannulloni che anelano al posto fisso, stiamo parlando di persone qualificate e valide che hanno tutta l’intenzione di crescere professionalmente nel tempo, e che hanno vere ambizioni, ma che semplicemente si sentono maggiormente a loro agio nel farlo in contesti che hanno meno incognite e meno rischi rispetto ad altri come startup e scale-up. 

Individuare persone che danno un valore alla stabilità delle grandi aziende è abbastanza facile, si analizza il loro percorso lavorativo passato, se hanno cambiato lavoro con una media di tenuta per posizione inferiore ai 3-4 anni solitamente significa che hanno una alta propensione al rischio e quindi sono potenzialmente inadatte al lavoro in una grande azienda, tuttavia i pregiudizi sono sempre portatori di errori e fraintendimenti, la propensione al rischio personale ed il valore della stabilità lavorativa si evolvono nel tempo e variano in base alla situazione personale dei candidati. 

Chi diventa padre può essere maggiormente attratto da un ruolo stabile, ma dopo dieci anni, quando i figli sono cresciuti ed il mutuo di casa estinto, potrebbero scoprire di avere una rinnovata propensione al rischio. 

Gli Esperti Comportamentali di ExpHire sono qualificati a capire questo ed altri elementi dei tratti della personalità e dell’approccio al lavoro dei candidati.



Evitare gli Yes Man

Le grandi aziende sono dei pachidermi e il rischio nel tempo è che non riescano più a vedere i problemi e ad identificare le soluzioni e quindi essere sostituiti da nuove e più agili aziende.

La validazione conferita dei successi precedenti delle grandi aziende porta le persone a non mettere in discussione progetti, processi e persone o a farlo raramente. Questo singolo elemento può causare nel tempo la fine di una grande azienda che deve continuamente mettersi in discussione ad ogni livello strategico ed operativo, deve programmare una disruption interna per poter sopravvivere a quelle esterne di startup e scale-up.

Chi entra in una grande azienda a volte sente che la propria voce ed opinione è limitata, naturalmente direi, si è una parte infinitesimale di una macchina enorme. Bisogna tuttavia studiare modi per far emergere le voci di tutti i dipendenti, e stimolare il dibattito interno, le grandi aziende non devono diventare delle chiese dogmatiche in cui si segue un credo che viene dato e mai discusso. 

Le grandi aziende si devono dotare i propri dipendenti degli strumenti per incentivare al dibattito e alla messa in discussione dello status quo e uno di questi è quello di assumere persone che sono in grado di vocalizzare il loro punto di vista senza temerne le ripercussioni. 

Il primo è evitare di assumere cosiddetti ‘Yes men’ persone che preferiscono, per diverse ragioni, dare ragione ai propri superiori, non mettere mai in discussione processi e progetti, e preferiscono aderire esclusivamente a quanto gli è chiesto di fare. Le ragioni che portano a questo atteggiamento meramente assertivo possono essere di natura personale e attitudinale, ma possono molto spesso essere l’indice della volontà di non far sentire la propria voce per ‘quieto vivere’ o peggio per disinteresse e/o per tornaconto personale.

Le domande relative a casi specifici dell’esperienza lavorativa passata in cui i candidati non erano in accordo con l’azienda o che evidenziano questi tratti della personalità sono utili a comprendere la loro indole in merito.

Ho lavorato per una primaria azienda leader in un mercato e quando ho cominciato a portare esempi di cosa stava facendo la concorrenza diretta in alcune riunioni sono stato visto come un alieno da alcuni, come il demonio da altri, fino al punto che il mio manager mi ha preso da parte per dirmi che in azienda ci si focalizza solo sul nostro lavoro indipendentemente da quello che fanno gli altri, è la cultura aziendale, in altre parole sono stato silenziato. Ironia della sorte, quella azienda dopo circa 3 anni si è ritrovata all’inseguimento in termini di features rispetto al prodotto proposto dal principale concorrente, insomma qualcuno di importante da qualche parte nel mondo ha capito che era producente aprire un dibattito interno e rivedere le assolute certezze aziendali. 

I candidati che amano ed usano i prodotti del brand sono ovviamente da preferire, ma bisogna essere cauti ed evitare i fan, persone che ritengono il brand unico ed indiscutibile, che ne sottoscrivono ogni azione e decisione a prescindere, molto probabilmente queste persone se assunte in azienda si comportano come degli ‘Yes, men’ e possono addirittura diventare un problema maggiore perché potrebbero impedire a persone con qualità propositive di critica e cambiamento di far sentire la loro voce. Indovina? La persona che mi aveva chiesto di non parlare di concorrenti durante le riunione era un fan del brand…



Valutare le Reali Qualità delle Persone

Sembra quasi pleonastico, ma spesso nella valutazione dei candidati non si tiene conto delle qualità professionali e personali  e prendono il sopravvento altri elementi di corredo che dovrebbero essere di minore importanza e che a volte rappresentano un modo o una scappatoia politicamente corretta di applicare dei pregiudizi. 

Leggo molte grandi aziende inserire nelle proprie Job Description come elemento gradito nel profilo ricercato l’aver effettuato un MBA, si tratta di una sorta di bias legalizzato. 

Mi spiego: fare un MBA qualifica di per sé una persona a ricoprire un ruolo? No, a meno che non si stia cercando un professore per un MBA. Un percorso di formazione di questo tipo non consegna competenze uniche e specifiche per una posizione e non garantisce che la persona che l’ha effettuato sia migliore o più competente di una che non ha potuto permettersi di parteciparvi. 

Si tratta di un bias camuffato, si stanno in pratica discriminando candidati che non hanno avuto le risorse economiche o il tempo per poter fare un MBA nella loro vita, in favore di chi quei privilegi li ha avuti. Un bias simile è quello relativo ad avere certe università blasonate (e molto spesso esclusive e costose) nel proprio CV, molte grandi aziende assumono solo candidati che hanno frequentato determinate università, anche se non lo dichiarano esplicitamente, anche questo è scorretto specie se si considera che a volte ad entrare in queste università sono figli e figlie di persone che elargiscono sontuose e generose donazioni alle università stesse…

Altro bias che ho visto applicare è relativo alla provenienza da grandi aziende in cui l’azienda A assume solo se nel CV dei candidati ci sono le aziende X e Z o al contrario l’esclusione a priori di candidati che hanno nel loro CV esperienze con competitor diretti. Tutti questi criteri sono superflui e non dovrebbero mai determinare l’esito di un processo di selezione, sono 4 gli elementi su cui ci si deve focalizzare: skill tecniche, skill comportamentali, potenziale e cultural fit dei candidati. Tutto il resto rischia di far entrare nel processo di selezione elementi di bias (intenzionali o meno) o di corruzione del processo stesso che non sono negli interessi ultimi delle grandi aziende.

Conclusioni: Lezioni per Grandi Aziende

Le grandi aziende sono complesse e mi rendo conto che evidenziare problemi è facile e risolverli nella realtà è più complesso, ma bisogna iniziare a parlare delle storture dei processi di recruitment e trovare insieme delle soluzioni, è un percorso ed invito tutti gli attori coinvolti nei processi di selezione a contribuire. Sembra altresì chiaro che le cose debbano cambiare perché in troppi sono insoddisfatti dello status quo. Iniziamo dall’indicare i tratti salienti del candidato ideale per le grandi aziende, per evitare di portare in contesti inadatti persone che hanno altre inclinazioni e che ne soffrirebbero e per favorire chi può avere successo nel tempo in questo contesto.  

Conoscere il profilo ideale dei propri candidati è un buon punto di partenza per ridiscutere e riconsiderare il processo di selezione delle grandi aziende.

ExpHire: Come Aiutiamo le Grandi Aziende

Come abbiamo visto nelle grandi aziende possono esserci problemi di equità ed imparzialità dei processi di selezione, dovuti a diverse ragioni e che si manifestano in diversi step del processo di recruitment. ExpHire con i suoi esperti tecnici e comportamentali indipendenti può porre facilmente rimedio a questi problemi, aggiungendo una voce indipendente e qualificata al tuo attuale processo ed essendo flessibile e modulare per adattarsi anche ai processi più peculiari e complessi.

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